Il fenomeno, che è tipico di questi ultimi anni, di un incremento costante e inarrestabile degli studi di archeologia, - i quali spesso nascono da centri forse in parte a torto considerati periferici - va considerato per molti aspetti positivo. Il prestare attenzione a particolari minuti della realtà che ci circonda è già di per sé degno di lode e contribuisce ad ampliare tutti quegli aspetti di considerazione che vanno sotto il nome complessivo, spesso non da tutti ben compreso nell'ampiezza del suo significato, di "valorizzazione".
Va da sé che coloro che hanno le narici troppo raffinate - per citare Orazio - saranno immediatamente in grado di rilevare lacune nella bibliografia, qualche manchevolezza nella valutazione e così via. Ma non va dimenticato che forse più che in altre discipline scientifiche la ricerca archeologica abbisogna di onesti lavoratori i quali sono tuttavia in grado di offrire un contributo importante al progredire della scienza. Chi di noi può ardire, ove non sia uno specialista puro, all'incremento della fisica nucleare o della matematica o della medicina? Invece nelle discipline archeologiche l'apporto dei privati e degli appassionati, guidati come nel caso del gruppo che si riconosce intorno ad Iginio Frisoni, può additare nuovi insediamenti, far presente l'affiorare di testimonianze finora insperate, rappresentare ipotesi e fenomeni che mai prima erano stati considerati. E via dicendo.
L'insieme si può veramente definire archeologico, ma comprende sia le ricerche di superficie sia l'analisi dei toponimi (ad es. Coron) sia la raccolta di fonti orali, delineando un ventaglio di campi di indagine che testimonia l'ampiezza degli interessi degli autori. L'ambito temporale non si limita all'epoca romana, estendendosi nel caso di Latisana anche alla lettura degli alzati alla ricerca di monumenti postrinascimentali non più esistenti.
L'ambito della raccolta supera il piccolo mondo di Latisana - presente come è ovvio in maniera preponderante nella ricerca quasi spasmodica di una romanità che appare ancora oggi blasone di nobilita, che per gli autori dei saggi qui ripubblicati si identifica per lo più nella mitica Apicilia, che si vuole addirittura considerare una "città ritrovata" - e comprende la laguna di Marano, ambito come è noto ricchissimo di testimonianze che attendono ancora una adeguata analisi - ma anche l'area di Ovaro e di Paularo ove la ricerca di superficie (estiva?) interessa anche l'archeologia industriale fino a questo secolo. Si toccano così la dinamica degli insediamenti, il loro rapportarsi alle principali vie di comunicazione etc.
Scopo principale, come si è detto, di rivendicare una presenza finora spesso dimenticata, con l'ausilio di precise indicazioni topografiche e con rilevazioni accurate. Esula dall'intendimento degli autori una valutazione analitica dei resti complessiva con uno scaglionamento anche cronologico. Si perdonerà se gli studi oscillano talora tra un approccio troppo ampio, che perde di vista l'originalità del contributo personale, e una situazione troppo puntuale che dimentica i problemi di carattere generale.
Nell'augurare un buon proseguimento delle indagini ci permettiamo di suggerire una maggior attenzione alla riproduzione, anche se schematica, dei materiali, da cui sia possibile a chi non era presente alle ricerche ricavare una propria valutazione della loro datazione e importanza. Rinnovo quindi un vivo compiacimento a Iginio Frisoni e al suo gruppo per la passione e la costanza con cui proseguono le loro ricerche.
Dott. Maurizio Buora
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